Purple team: come integrare red team e blue team per rafforzare la security posture
Purple team: come integrare red team e blue team per rafforzare la security posture

Purple team: come integrare red team e blue team per rafforzare la security posture

Autore: Matteo Graci

Introduzione al purple team: la sinergia tra red team e blue team 

Negli ultimi anni la cybersecurity sta vivendo una metamorfosi che va oltre la mera difesa reattiva: con l’aumento di attacchi avanzati e l’intensificarsi della complessità infrastrutturale, aziende e istituzioni devono adottare approcci integrati per anticipare e contrastare in modo efficace le nuove minacce.

Il tradizionale modello di difesa, basato sulla contrapposizione — e non sulla sinergia — tra red team (attaccanti) e blue team (difensori), non basta più infatti a garantire un livello adeguato di protezione.

Gli avversari cambiano tecniche con rapidità, le infrastrutture IT includono sempre più cloud, SaaS e ambienti ibridi, mentre le priorità di business impongono tempi di risposta immediati.

In questo scenario, il purple teaming si configura come metodo di lavoro strategico che consente di colmare il divario tra offensive security e capacità difensive, trasformando attività di cyber security testing in un processo continuo di miglioramento della security posture.

Il principio è semplice: far collaborare chi attacca e chi difende in modo strutturato, così da individuare le lacune concrete che resterebbero invisibili con attività separate, trasformandole in rilevazioni affidabili e misure di contenimento realizzabili.

Un penetration test non si limita a trovare vulnerabilità, ma misura l’impatto reale del loro sfruttamento. Il purple teaming, invece, adotta un approccio collaborativo e continuo: trasforma le tecniche di attacco in migliori capacità di difesa, rafforzando detection e playbook. Non sostituisce il pentest, ma lo completa, aiutando il team di sicurezza a evolvere in modo costante.

Un’organizzazione che adotta il purple teaming non solo riduce i tempi tra la scoperta di una debolezza e la sua mitigazione, ma soprattutto evita la trappola della falsa sicurezza.

 

 Purple team: una panoramica completa

Il termine purple team viene spesso usato in maniera impropria. Non indica un nuovo reparto dedicato né un’entità autonoma, ma piuttosto una metodologia di collaborazione strutturata tra red Team e blue team.

  • Il red team emula attaccanti realistici, sfruttando vulnerabilità e muovendosi dalla fase di ricognizione fino al command & control.
  • Il blue team osserva e analizza i segnali, rileva anomalie, avvia procedure di containment, conduce attività di forensics e aggiorna le regole difensive.
  • Il purple team orchestra il ciclo, stabilendo obiettivi, definendo scenari, chiarendo le regole d’ingaggio, facilitando l’analisi congiunta e garantendo che le correzioni vengano implementate e validate. In questo modo, le conoscenze tra attaccanti e difensori si fondono, rendendo il sistema proattivo e in grado di intercettare, se non anticipare, attacchi complessi e strutturati.

In questo senso, il purple teaming è tutt’altro che “colore intermedio”. Si tratta di un processo che integra offensive e defensive security in un ciclo continuativo. Strumenti come il framework MITRE ATT&CK diventano parte integrante della metodologia, fornendo un linguaggio comune per mappare tecniche, identificare lacune e misurare il miglioramento delle difese.

Come sottolineato nella sezione dedicata al purple team, l’obiettivo non è sostituire definitivamente red e blue, ma metterli nelle condizioni di imparare l’uno dall’altro.

È la differenza tra condurre simulazioni isolate e costruire una strategia integrata di security testing, capace di trasformare ogni attacco simulato in una lezione concreta per il rafforzamento della sicurezza aziendale.

Perché le aziende hanno bisogno di un purple team per rafforzare la security posture

Il contesto tecnologico attuale espone le organizzazioni a due rischi opposti ma ugualmente gravi.

Da un lato, c’è chi si affida a una singola tecnologia — spesso un EDR di nuova generazione — considerandola una soluzione definitiva. Questa illusione del “silver bullet” porta a credere che la protezione sia totale, mentre in realtà l’EDR copre solo l’endpoint e non è in grado di monitorare adeguatamente identità, rete o cloud.

Dall’altro, vi sono organizzazioni che sottovalutano l’importanza della validazione continua, lasciando che regole di detection obsoleteo pipeline di log interrotte riducano drasticamente l’efficacia delle difese. In questi casi, l’infrastruttura sembra protetta sulla carta, ma nella pratica resta vulnerabile a tecniche di attacco comuni.

Il purple team interviene proprio su queste debolezze, in quanto:

  • allena detection, contenimento e resilienza contro scenari realistici, non solo teorici;
  • crea una “muscle memory” organizzativa, che non riguarda solo il SOC ma anche funzioni non tecniche come legale, HR e comunicazione;
  • fornisce metriche concrete per giustificare investimenti in sicurezza;
  • mette in luce errori di configurazione banali che aprono varchi significativi agli attaccanti;
  • aiuta a bilanciare tecnologia, processi e persone, evitando sia l’over-automation che la dipendenza da interventi manuali frammentati.

Inoltre, i risultati delle esercitazioni purple offrono una base solida per adottare architetture difensive più mature, e per sostenere programmi di formazione mirata come l’awareness training.

In questo modo, il purple team rafforza la detection e, in termini più estesi, innalza la resilienza complessiva dell’organizzazione, rendendo, non da ultimo, più semplice comunicare al management l’impatto reale della cybersecurity sui processi di business.

Errori comuni da evitare nel purple teaming e nei pentest

Per comprendere dove il purple teaming può fallire e come evitarlo, vale la pena analizzare alcuni degli errori più frequenti:

  1. Compiacenza nei controlli
    Un solo varco è sufficiente all’attaccante, mentre il difensore deve presidiare ogni superficie. Pensare che basti aver rilevato un tentativo di phishing per essere protetti è un errore: serve esercitare continuamente risposta, contenimento e ripristino.
  2. Il mito del “silver bullet”
    L’EDR è essenziale, ma non vede tutto. Una strategia efficace richiede livelli multipli: XDR/IDR, firewall application-aware, controlli sulle applicazioni, regole SIEM su misura e monitoraggio del network in tempo reale.
  3. Strumenti configurati male
    Misconfigurazioni in endpoint, cloud, Active Directory o applicazioni aprono la strada all’uso di tecniche di compromissione di base. Le remediation di base spesso generano il ROI più alto, perché costringono gli avversari a usare tecniche più raffinate, meno comuni, rendendo l’attacco meno “conveniente”.
  4. Assenza di playbook e procedure di contenimento
    Rilevare non basta: senza escalation definite, autorizzazioni chiare e procedure di risposta collaudate, i minuti più preziosi si perdono, aumentando l’impatto.
  5. Falsa sicurezza
    Una detection configurata ma mai attivata equivale a non averla. Solo la validazione ricorrente può garantire che i controlli di rilevamento siano davvero efficaci..

Evitare questi errori è fondamentale per sfruttare appieno il valore del purple teaming.

Non a caso, le organizzazioni più mature abbinano le attività di validazione a un percorso strutturato di governance e formazione, come quello supportato da un CSIRT interno o esteso, che coordina detection, risposta e comunicazione.

KPI da monitorare nel purple teaming

Misurare l’efficacia del purple teaming richiede KPI mirati, che vanno oltre i classici indicatori di disponibilità o conformità.

Un programma purple produce valore solo se accompagnato da metriche che riflettano la capacità di detection, contenimento e incident response in scenari realistici.

Tra i più rilevanti troviamo:

  • Mean Time to Detect (MTTD) → tempo medio per rilevare una tecnica specifica, ad esempio un movimento laterale o una persistence in cloud.
  • Mean Time to Contain/Respond (MTTC/MTTR) → tempo medio necessario per contenere o rispondere a uno scenario simulato.
  • Coverage mappato al MITRE ATT&CK framework → misurare la copertura reale delle detection rispetto alle tattiche e tecniche più comuni.
  • Dwell time simulato → tempo che intercorre tra compromissione e rilevamento, un indicatore chiave della resilienza operativa.
  • Tasso di remediation → percentuale di vulnerabilità o misconfigurazioni chiuse entro SLA definiti.
  • Qualità dei log → completezza, latenza e integrità delle fonti di log, parametro essenziale per un SOC affidabile.

Come evidenziato nell’articolo su come determinare la cybersecurity posture con i Security Assessment, la capacità di tradurre questi indicatori in un linguaggio leggibile dal business rappresenta un’opportunità concreta: consente di ottenere più facilmente il supporto del management e di orientare nuovi investimenti in modo mirato ed efficace.

Guida alla costruzione di un purple team: metodologie operative e applicazioni concrete

L’efficacia nasce da un percorso strutturato e scalabile, in cui ogni fase contribuisce a rafforzare la capacità dell’organizzazione di rilevare, contenere e rispondere ad attacchi realistici.

12 Step operativi per un purple team efficace

Abbiamo raccolto 12 step fondamentali chepermettono di trasformare le esercitazioni in un ciclo continuo di apprendimento e miglioramento misurabile.

Step 1: definisci perimetro e obiettivi misurabili

Non basta dire “miglioriamo la sicurezza”. Occorre stabilire obiettivi concreti e misurabili, come ad esempio:

  • ridurre il dwell time su compromissioni di identità;
  • aumentare la copertura detection su tecniche di movimento laterale;
  • validare la capacità di isolamento rapido in ambienti cloud.

Ogni obiettivo deve essere legato a metriche, soglie di successo e un orizzonte temporale chiaro.

Step 2: stabilisci governance e regole d’ingaggio

Un purple team gestito senza regole chiare e precise rischia di generare confusione o addirittura danni operativi. È dunque necessario::

  • nominare un purple lead, ovvero un responsabile della qualità, dei tempi e della reportistica;
  • definire scope e regole d’ingaggio (orari, ambienti coinvolti, dati esclusi, modalità di de-escalation);
  • stabilire chi detiene l’ownership per azioni critiche come l’isolamento di host o la revoca di credenziali;
  • coinvolgere in anticipo legale, HR e comunicazione, così da prevenire attriti in caso di impatti organizzativi.

Step 3: componi il team e le competenze

Un purple team deve integrare competenze offensive (exploit, social engineering, post-exploitation) che difensive (SOC, detection engineering, incident response, forensics).

È importante includere anche ruoli di security architecture e gestione identità, per tradurre gli insight in misure di hardening concrete. Nelle realtà più piccole, è possibile organizzare sessioni in cui le risorse assumono ruoli diversi, pur mantenendo comunque la separazione delle responsabilità nei momenti di test critici.

Step 4: mappa telemetria e prerequisiti

Prima di iniziare, occorre verificare la qualità della telemetria disponibile. Le domande da porsi sono:

  • quali sorgenti di log abbiamo (endpoint, rete, cloud, identità, applicazioni, DNS, e-mail)?
  • i dati arrivano al SIEM in modo completo e coerente?
  • i timestamp sono allineati e i campi parsati correttamente?
  • la latenza è accettabile per il detection in near real-time?

Se mancano telemetrie essenziali, è meglio aggiornarle prima di avviare le esercitazioni: il purple team non può sostituire un’infrastruttura di logging incompleta.

Step 5: seleziona scenari MITRE ATT&CK realistici

Le esercitazioni devono essere credibili e ad alto impatto. Alcuni esempi di scenari tipici:

  • phishing con compromissione di identità e persistence su tenant cloud;
  • exploitation di una web application esposta con movimento laterale su Active Directory;
  • esfiltrazione di dati sensibili tramite canali C2 mimetizzati nel traffico legittimo.

L’uso del framework MITRE ATT&CK garantisce che ogni esercitazione sia collegata a tattiche e tecniche note, fornendo così un linguaggio comune per red, blue e management.

Step 6: prepara detection e playbook prima della simulazione

Il blue team non parte da zero. Prima di ogni esercizio è necessario:

  • rivedere regole SIEM, EDR/XDR e controlli su identità e cloud;
  • aggiornare i playbook di incident response per includere contenimento host, revoca token, reset credenziali, quarantena mailbox;
  • chiarire chi può autorizzare ogni azione e in quali orari.

Questa preparazione consente al team difensivo di affrontare l’esercizio in condizioni simili alla produzione, senza rischiare che l’esperienza si riduca a un test puramente teorico.

Step 7: esegui esercizi con osservabilità condivisa

Durante le simulazioni, il red team deve rispettare gli obiettivi senza alterare artificialmente gli scenari, mentre il Blue Team deve reagire come farebbe in un contesto produttivo.

Il purple team coordina le attività, raccoglie artefatti, annota tempi di rilevazione e risposta, identifica i punti ciechi.

Per massimizzare l’apprendimento, è utile prevedere brevi sessioni di sincronizzazione (“sync veloci”) durante l’esercizio, così da consentire a red e blue di confrontarsi sui segnali osservati e accelerare il ciclo di miglioramento.

Step 8: trasforma eventi in detection affidabili

Ogni catena di attacco deve produrre un output concreto in termini di detection. Questo significa documentare una detection story con:

  • segnali distintivi da osservare;
  • regole o correlazioni necessarie;
  • esclusioni per ridurre i falsi positivi;
  • prerequisiti di log;
  • un runbook di triage e risposta.

Le regole devono essere prima testate in ambiente controllato e poi distribuite in produzione, con un monitoraggio dell’efficacia nel tempo.

Step 9: chiudi le misconfigurations prima delle ottimizzazioni

Molte violazioni non sfruttano exploit sofisticati, ma semplici errori di configurazione. Prima di investire in correlazioni avanzate, occorre sanare:

  • MFA assente o debole;
  • privilegi eccessivi nei tenant cloud;
  • trust Active Directory inutili;
  • storage e appliance esposti pubblicamente;
  • regole e-mail troppo permissive;
  • agent di sicurezza mancanti.

Questa attività di “pulizia” alza il livello di rumore necessario per un attaccante, rendendo più utili ed efficaci le detection successive.

Step 10: valida contenimento e ripristino

Il valore del purple team non si limita alla detection, ma si estende alla capacità di contenere e ripristinare rapidamente.

Le esercitazioni devono includere:

  • isolamento di host compromessi;
  • blocco di utenti e rotazione chiavi;
  • revoca di token SSO;
  • rimozione di regole malevole in e-mail;
  • rollback di policy di sicurezza;
  • interruzione di connessioni C2.

Ogni azione deve essere misurata in termini di tempi, errori frequenti e prerequisiti, così da aggiornare playbook e migliorare la prontezza complessiva.

Step 11: misura, comunica, chiedi budget

I risultati delle esercitazioni devono essere presentati in modo leggibile dal business. Alcuni indicatori utili:

  • coverage MITRE ATT&CK prima e dopo;
  • riduzione MTTD/MTTR;
  • numero di vulnerabilità critiche chiuse;
  • percentuale di host isolabili in produzione;
  • tempo medio per revocare token SSO;
    qualità dei log ingeriti dal SIEM.

Collegare questi outcome a rischi di business (fermi servizio, perdita di dati, sanzioni normative) permette di dimostrare concretamente il ROI e ottenere finanziamenti mirati da parte del management.

Step 12 — Rendi il purple team un processo continuo

Il purple teaming non si configura mai come un progetto una tantum, ma piuttosto come un processo da reiterare con cadenza definita.

  • Le esercitazioni vanno ripetute periodicamente, ruotando superfici e tattiche (cloud, identità, supply chain).
  • Deve esistere un catalogo vivente di detection e playbook, versionato e aggiornato costantemente.
  • È utile includere tabletop exercise con stakeholder non tecnici, per consolidare processi di comunicazione e decisione in caso di incidenti reali.

Scenario minimo consigliato (kit essenziale)

Per impostare un programma purple team anche in contesti con risorse limitate, è sufficiente garantire un set minimo di strumenti e processi:

  • EDR/XDR con moduli identity, per visibilità su endpoint e account.
  • Firewall e proxy application-aware, con logging integrato nel SIEM.
  • SIEM/SOAR con regole personalizzate e una coda di triage effettivamente presidiata.
  • Gestione delle identità con MFA robusta, rotazione chiavi e revisione periodica dei privilegi.
  • Inventario degli asset e degli agent installati, per sapere dove sia possibile contenere rapidamente.
  • Playbook scritti e provati, con ruoli, escalation e autorizzazioni chiare per contenimenti e reset.

Questo “kit essenziale” consente di partire in modo strutturato e di costruire un ciclo Purple iterativo senza grandi investimenti iniziali.

Frequenza delle esercitazioni purple team: come trovare il ritmo giusto

Uno dei dilemmi più comuni per i responsabili della sicurezza è: quanto spesso bisogna eseguire esercitazioni purple team?

La risposta non è uguale per tutte le organizzazioni, ma un principio guida è “abbastanza spesso da non arrugginirsi, abbastanza mirato da non sprecare risorse”.

  • Esercitazioni complete: in genere ogni trimestre, simulando scenari end-to-end che coinvolgono più vettori (phishing, compromissione di identità, movimento laterale, esfiltrazione).
  • Mini-esercizi mirati: ogni mese, focalizzati su una singola tecnica o capacità (es. contenimento di un account compromesso o detection di persistence in cloud).
  • Tabletop exercise: incontri a cadenza regolare, senza simulazioni tecniche, per verificare il coordinamento tra team tecnici e non tecnici su procedure decisionali e di comunicazione.

Il valore delle esercitazioni ricorrenti è duplice: consolidano le capacità tecniche del blue team e allenano il management a prendere decisioni rapide in scenari realistici, riducendo i tempi morti quando conta davvero.

Stakeholder non tecnici: perché coinvolgerli

Un errore frequente che spesso si osserva nelle organizzazioni è quello di considerare gli incidenti di cybersecurity solo un problema tecnico. In realtà, ogni violazione ha implicazioni legali, comunicative e operative che richiedono la partecipazione di funzioni trasversali.

Il purple team rappresenta un’occasione ideale per testare in anticipo:

  • Decisioni legali su notifiche, gestione delle prove digitali e rispetto delle normative.
    Comunicazione interna ed esterna, sia verso dipendenti che verso clienti e partner.
  • Gestione HR, in particolare per scenari che coinvolgono insider threat o social engineering.
  • Impatto sui clienti e sui servizi, con decisioni rapide su escalation e messaggi pubblici.

Includere stakeholder non tecnici in simulazioni purple può contribuire a ridurre i tempi di reazione nelle crisi reali e a rendere l’intera organizzazione più resiliente. In questo senso, il purple team può lavorare in sinergia con funzioni come il CSIRT, che già gestisce incidenti a livello operativo e coordina la risposta multi-dipartimentale.

 

 

Caso pratico: un ciclo purple end-to-end

Per comprendere il valore del purple teaming, immaginiamo uno scenario realistico.

Fase 1: attacco simulato

Il red team lancia un attacco di spear-phishing mirato a un dipendente con accesso privilegiato. Una volta ottenute le credenziali, crea regole malevole di forwarding e stabilisce persistenza sul tenant cloud. Successivamente, tenta un movimento laterale verso storage interni e portali aziendali.

Fase 2: rilevazione e risposta

Il blue team, monitorando log di posta, identità e endpoint, rileva comportamenti anomali. Avvia le procedure di contenimento: blocca la sessione sospetta, revoca i token compromessi, rimuove le regole e-mail dannose, apre un caso di forensics e notifica gli owner dei dati interessati.

Fase 3: coordinamento e misurazione

Il purple team supervisiona il processo, misura tempi e risultati, registra quali segnali hanno permesso la detection, quali invece erano mancanti e quali misconfigurazioni hanno facilitato l’attacco.

Fase 4: miglioramento continuo

L’esercizio si conclude con la creazione di nuove regole di detection, il miglioramento dei playbook di risposta e l’implementazione di MFA più rigorosa per gli account privilegiati. Tutto viene documentato e reso ripetibile per il prossimo ciclo di esercitazioni.

Questo esempio dimostra come il purple team possa rafforzare la security posture della tua organizzazione, abilitandola a trasformare un attacco simulato in un percorso misurabile di rafforzamento della sicurezza, riducendo la distanza tra teoria e pratica.

 

 

Conclusione: perché il purple team è oggi un imperativo strategico della cybersecurity

Il purple teaming rappresenta un metodo strutturato per allineare in modo continuo ciò che il red attua “attaccando” con ciò che il blue deve rilevare, contenere e ripristinare.

Grazie a questo approccio metodologico, le aziende possono:

  • ridurre sensibilmente i tempi di rilevazione e risposta;
  • scoprire lacune spesso invisibili durante i tradizionali audit;
  • dimostrare al management con metriche concrete il valore dell’attività di cybersecurity;
  • trasformare ogni esercitazione in un miglioramento reale della security posture.

Il purple teaming funziona perché svela gli angoli ciechi, accelera la remediation, e soprattutto rende i controlli misurabili e comprensibili per il management.

Per implementarlo, non serve mettere a terra da subito una vasta quantità di risorse: con un set minimo di strumenti, regole chiare e un ciclo iterativo di esercizi, è possibile costruire un programma purple team che diventi nel tempo parte integrante della strategia di information security aziendale.

Con questi ingredienti, in poche iterazioni si vedranno calare i tempi di rilevazione e risposta, aumentare la qualità dei log e crescere la confidenza del team nelle manovre di contenimento preventive.

Scopri di più sull'approccio di Impresoft 4ward al purple teaming e come può aiutarti a integrarlo nella sezione dedicata.

Matteo Graci

Matteo Graci

Matteo Graci - Senior Solutions Advisor di Impresoft 4ward - con più di 20 anni di esperienza nella Cybersecurity, ha lavorato nell’ambito della consulenza, con forte orientamento alla compliance e alla protezione delle infrastrutture critiche. Dal penetration testing, alla formazione, fino alla consulenza manageriale di alto livello, Matteo è un vero e proprio specialista della Cybersecurity a 360°.