La NIS2 segna un passaggio obbligato nella gestione del rischio cyber per le aziende europee. In Italia, tra normative poco chiare e approcci disomogenei, il quadro resta incerto. Serve metodo, consapevolezza e una rilettura strategica del concetto di compliance.
Come abbiamo avuto più volte modo di sottolineare su queste pagine, non v’è dubbio che la Direttiva NIS2, entrata ufficialmente in vigore in Europa nel gennaio 2023 e recepita dall’Italia nel 2024, rappresenti di fatto il tentativo più ambizioso dell’Unione Europea di innalzare il livello di sicurezza informatica nei settori ritenuti essenziali e critici per il funzionamento del sistema economico e sociale di tutti i Paesi coinvolti. Ma se da un lato Bruxelles ha fissato chiari termini e scadenze, il tessuto imprenditoriale italiano – in particolare le PMI – sembra avere ancora difficoltà ad allinearsi, non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto culturale.
In questo quadro, la recente proroga al 31 luglio 2025, concessa dall’ACN (Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale) per la trasmissione delle informazioni relative alla designazione dei soggetti obbligati, non va considerata come un semplice rinvio o come l’ennesima proroga, secondo il tipico (mal)costume del nostro paese.
È piuttosto il riconoscimento implicito di una difficoltà reale. Le aziende, soprattutto quelle di medie dimensioni, percepiscono la compliance come un peso burocratico, E questo accade nonostante la NIS2 nasca con l’obiettivo di rafforzare la resilienza delle organizzazioni, non di appesantirle.
Uno dei problemi principali è di tipo percettivo. La normativa viene spesso vista come una rogna, più che come un’opportunità per migliorare la postura di sicurezza aziendale.
“La compliance è un’opportunità che si traveste benissimo da rogna” è una battuta che nasconde una verità sistemica: la distanza tra l’intenzione regolatoria e la realtà operativa delle imprese.
Le aziende, ancora oggi, tendono a focalizzarsi sugli aspetti sanzionatori, trascurando il fatto che la NIS2 è costruita per offrire strumenti, linee guida, approcci strutturati alla gestione del rischio cyber. Tuttavia, questa finalità trasformativa rimane spesso sullo sfondo.
La comunicazione istituzionale non ha sempre aiutato, ed è abbastanza certo che a livello europeo e nazionale si poteva fare uno sforzo maggiore per rendere chiari i benefici concreti di un approccio strutturato alla sicurezza.
In questo contesto di incertezza, ACN sta cercando di bilanciare la rigidità della norma con un atteggiamento pragmatico e collaborativo. La proroga concessa per la trasmissione dei dati non è un segno di debolezza, ma un indicatore di consapevolezza: il sistema produttivo italiano ha bisogno di tempo, supporto e strumenti adeguati per adeguarsi. ACN ha scelto una postura consulenziale e non punitiva. Sul loro sito è tutto molto chiaro: invitano le imprese a parlarne, a farsi aiutare. È un cambio di passo importante rispetto a un approccio esclusivamente sanzionatorio.
Questa scelta è strategica, perché evidenzia la volontà di costruire un ecosistema di sicurezza resiliente e collaborativo, non solo conforme. E invita le aziende a fare lo stesso: uscire da una logica di adeguamento passivo e iniziare a vedere la sicurezza come parte integrante della strategia aziendale.
Per restare sul tema della compliance normativa e dell’attenzione che le imprese italiane riescono o meno a prestarvi, un altro elemento che sta emergendo con forza è la crescente attenzione alla localizzazione e alla gestione dei dati, specialmente in ambito cloud. Un’attenzione già stimolata dal GDPR, ma che con la NIS2 viene estesa a tutti i dati aziendali, non solo quelli personali.
Oggi le aziende si domandano con maggiore lucidità dove finiscono i loro dati, chi ne ha accesso e in quali condizioni di sicurezza vengono conservati. La NIS2 dice chiaramente che anche ciò che è ospitato su sistemi terzi come il cloud deve essere protetto come tutto il resto.
Questo focus sulla “territorialità digitale” non è solo una questione tecnica o legale, ma una leva strategica. Significa riappropriarsi del controllo informativo in un contesto dove i confini organizzativi – e tecnologici – sono sempre più sfumati. Significa anche costruire consapevolezza rispetto alle scelte infrastrutturali, alla catena di fornitura, alla gestione dei servizi IT, elementi centrali nella nuova visione della sicurezza come ecosistema.
In questo scenario, il ruolo di partner consulenziali come Impresoft 4ward si rivela fondamentale. L’azienda, da sempre focalizzata sull’accompagnamento alla digital transformation, ha esteso il proprio raggio d’azione anche alla governance della sicurezza e alla compliance normativa, offrendo alle imprese un supporto continuativo e strutturato.
Il punto di partenza è l’adozione di framework di sicurezza consolidati – come quelli promossi dal CINI, dal CIS o dal NIST – che permettano di trasformare l’obbligo normativo in una roadmap concreta. La flessibilità di questi strumenti consente di adattare l’approccio alle dimensioni, alla complessità e alla maturità dell’azienda, evitando l’effetto paralisi che molte imprese vivono quando si trovano davanti a normative complesse e stratificate.
La lezione più importante che si può trarre dall’esperienza NIS2, è che non si tratta di rincorrere l’ennesimo obbligo, ma di costruire una postura organizzativa capace di affrontare le minacce in modo proattivo. La compliance, se gestita con metodo, può diventare una leva di efficienza, un’occasione per rivedere processi interni, ridefinire le priorità, consolidare una cultura della sicurezza distribuita e consapevole.
La NIS2 è un’occasione per mettere ordine e costruire consapevolezza, ma serve una guida. Il nostro approccio è proprio questo: essere il Cicerone di un percorso che può sembrare caotico ma che, se ben gestito, porta benefici solidi e duraturi.